Il vegetarianismo e il veganismo, non è un mistero, catturano sempre più proseliti.
È una rete inarrestabile, la loro, che allarga la sua trama ogni giorno un po’ di più.
Basta, dunque, grigliate grondanti grasso di fiorentine, salsicce e costolette! Al bando giubbotti e stivaletti di pelle! Il mondo reclama, e ottiene, polpettine di soya, insalate di quinoa, tripudi di tofu e semi di papavero, gilet in ecopelle e mocassini in microfibra, sughero e paglia di cocco.
Festival cruelty free, fastfood con goulash di seitan, crumble di templeh e zuppa di lenticchie al profumo di curcuma e zenzero, cene a tema e conferenze “China study style” spuntano come funghi (che, fortuna loro, sono alimento vegan doc). E come funghi spuntano pure, in mezzo ai seguaci puri di verdura, frutta e proteine vegetali, anche frotte di sedicenti tali che si riempiono la bocca (e pure le tasche) di questa manna piovuta dal cielo che tutti vogliono e tutti cercano, facendo sembrare il tutto più una questione di moda e business che di filosofia di vita e abbattimento del colesterolo. Neo magnati del vegetariaveganismo che dispensano insegnamenti dal pulpito e che messi alle strette non saprebbero riconoscere uno sciroppo d’acero da un miele ambrosoli…
Ah, quando ci voleva per fare il mestiere anche un po’ di vocazione! (cit.)
Scandalizzati da questo affannarsi a trovare posto sul carro dei vincitori, e da qualche, innegabile, impennata di fanatismo, i carnivori di stomaco e credo arricciano il naso infastiditi dalla nuova crociata salutista, ancora convinti che la vita sia troppo breve per rinunciare a una manciata di ciccioli. Gli altri, dal canto loro, hanno argomenti più che sostanziosi per ribattere che lasciare gli animali liberi nella natura, piuttosto che rinchiuderli entro le gabbie di macelli e intestini, aiuterebbe il nostro povero e grasso mondo a ritrovare benessere e capacità di sostentare i propri figli.
E mentre in Italia si vanno delineando le guarnigioni degli agguerriti eserciti del nuovo millennio e si affilano le armi per la più imprevista e imprevedibile delle battaglie di era moderna, qui in Thailandia le fila si sciolgono ancor prima di formarsi e di fronte alla promessa purificatrice della cultura vegetariana si riscoprono passati di fratellanza, immolando a frutta, verdure, legumi e tofu nove giorni di celebrazione.
Festival vegetariano thailandese: una festa taoista
Il festival vegetariano appena terminato è, qui in Thailandia, innanzitutto una festa religiosa. Questione di pulizia di corpo e mente, tentativo di liberazione dal male, acquisizione di meriti.
Questa antica festa di origini taoiste si tiene ogni anno durante il nono mese del calendario lunare e dura di norma nove giorni, anche se i festeggiamenti possono allungarsi in avanti e indietro di qualche giorno. È celebrato in tutto il Paese, soprattutto laddove si contano forti comunità di discendenza cinese (che è un po’ un ossimoro, a dirla tutta, dal momento che l’intero Regno del Siam affonda le proprie radici in Cina), raggiungendo l’apice dei consensi nelle zone di Phuket, Trang, Hat Yai e Pattaya.
Durante i nove giorni di festeggiamenti i devoti seguono una stretta dieta vegetariana, anche se sarebbe più opportuno definirla vegana, dal momento che non solo si rinuncia a carne e pesce, ma anche a latte, uova e derivati animali come la salsa di pesce e la salsa di ostrica, entrambe molto utilizzate nella cucina thailandese.
Ma fanno molto di più, i devoti, che privarsi di quella delizia che è il chicken and cashewnuts:
Rinunciano anche ad alcune spezie e piante dall’odore pungente, come cipolla e aglio, colpevoli di incendiare l’animo e stuzzicare rabbia e lussuria.
Si astengono, nemmeno a dirlo, da tutti i vizi: fumo, alcol, sesso e gioco d’azzardo.
Si vestono di bianco per ricordare a se stessi che lo scopo è rincorrere la purezza d’animo e corpo.
Si attengono a dieci “comandamenti”, tra cui non rubare e non commettere frodi (in fondo, chi non ci rinuncerebbe per dieci giorni all’anno?).
Si recano al tempio.
Qualcuno, infine, si autolesiona. E lo fa nei modi più creativi immaginabili.
Perché insomma, a questo mondo ognuno farà poi un po’ quello che gli pare e se brama di infilarsi una bicicletta dentro una guancia, chi siamo noi per giudicarlo?
Il volto traforato del Festival vegetariano thailandese: i Mah song
Se in luoghi come Pai (provincia di Mae Hong Son, nord Thailandia), dove mi trovo io, il festival mostra infatti il suo lato più sobrio, snodandosi tra bandierine gialle in balia del vento e pasti comunitari a offerta libera, altrove, specialmente a Phuket, la celebrazione assume il volto più drammatico, cruento e d’impatto per cui il Festival vegetariano thailandese è celebre in tutto il mondo: le processioni e i mah song.
I mah song sono medium che, posseduti dagli spiriti, sfilano per la città in stato di trance accompagnati da colpi di tamburo e scoppi di petardi per tenere lontani gli spiriti malvagi. Sono uomini, rarissimamente donne (e ti pareva!), che vivono una vita perfettamente ordinaria e che per dieci giorni si trasformano in mediatori divini.
Possono essere scelti in qualsiasi momento della loro vita, basta che non siano sposati. Sono reclutati in sogno o durante una visione “loro malgrado”, in virtù delle doti morali che li contraddistinguono, oppure sono persone colpite da una malattia, o qualsivoglia sventura, che desiderano prolungare la propria vita. Perché essere mah song fa accumulare meriti. Tanti. A scapito, naturalmente, di qualche cos’altro. Do ut des.
I medium ricevono meriti e in cambio offrono se stessi come spugne per i peccati altrui, prendono il male su di sé e lo spazzano via dalla città. Come? Infliggendosi pene al limite dell’umano, come trafiggersi guance, bocca, lingua e capezzoli con spade e oggetti appuntiti – ogni anno le performance salgono di livello sfidando ogni più fervida immaginazione – o salendo scale composte di 72 gradini di lame affilate o facendo lunghi bagni nell’olio bollente o, e questo apparirà terribilmente banale ai seguaci di Anthony Robbins, camminando sui carboni ardenti.
Posseduti da dèi diventano dèi essi stessi, sfoggiando capacità soprannaturali a testimonianza che gli spiriti invasori possono proteggere da ogni dolore e ferita, a testimonianza che gli spiriti invasori sono veri e concreti al pari di tutti noi, ma a differenza di noi hanno poteri infiniti e inarrestabili.
E persino i più scettici traballano qualche secondo sentendo raccontare di chi, dopo essersi trapassato da parte a parte una guancia con una spada senza nemmeno l’attenuante di ricorrere ad ausili anestetici o psicotropi, una volta tornato cosciente non solo non muoia dissanguato, ma conservi a postuma memoria di tutta la bizzarra faccenda giusto un accenno di ferita, destinata a guarire in fretta in blanda cicatrice.
Della compagnia teatrale che sconfisse la malattia a colpi di verdure: le origini del Festival vegetariano thailandese
Leggenda narra che 190 anni circa or sono, una compagnia teatrale cinese approdò a Kathu, distretto dell’entroterra dell’isola di Phuket, per allietare l’ingrata vita dei minatori. Colpiti improvvisamente dall’epidemia di una non meglio specificata malattia (malaria?), gli attori videro nell’apparente sfortuna la meritata punizione per avere trascurato durante il loro soggiorno in terra thailandese i riti religiosi dedicati ai nove dèi del taoismo. Decisero così di purificarsi per nove giorni e nove notti astenendosi dal consumo di carne. Nemmeno a dirlo, tutti i componenti della compagnia teatrale tornarono all’istante in perfetta salute. La miracolosa guarigione venne presa a monito dagli autoctoni, che decisero di ripetere il benefico rituale negli anni successivi.
Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti e il festival si è arricchito anno dopo anno di nuovi rituali e curiosi dettagli coreografici, mantenendo sempre fede però a una tradizione autenticamente thailandese senza mai scadere in una di quelle pacchianate fasulle a beneficio e consumo dell’industria del turismo.
Continua, tuttavia, a sfuggire ai più quale strano e tortuoso percorso abbia condotto nel tempo dall’invocazione degli dèi Lam Tao e Pak Tao a quella di uomini con gli occhi rovesciati nelle orbite dediti ad adornare le proprie guance di ogni sorta di oggetti stravaganti, tra i quali fucili di plastica, ombrellini cinesi e racchette da tennis sono solo gli ultimi, ingegnosi rappresentanti.
E mentre vi lascio a riflettere su uno dei tanti quesiti irrisolti con cui l’esistenza ama insaporire la nostra vita, io me ne fuggo ad assaggiare quel tortino veg di cocco, cioccolato e diluvio di mandorle che ho adocchiato questa mattina.