Con l’approccio alla vita stile Trenitalia che mi ritrovo, caratterizzato da un modesto ma costante ritardo, entro al Teatro Coppola dopo più di un mese che sono a Catania.
In programma c’è La Rappresentante di Lista, che malgrado il nome non è un film erotico con Edwige Fenech ma un duo metà siciliano e metà toscano pronto a salire sul palco. Non li conosco, ma dal clip postato sulla pagina fb del teatro promettono bene.
Entro attraverso quella che sembra una porticina di un locale underground londinese e mi ritrovo in un disimpegno buio un po’ scalcinato, dove una ragazza si occupa di raccogliere le offerte per il concerto. Mi dice “Inizieremo un po’ più tardi, il classico quarto d’ora accademico”. Alla fine i quarti d’ora accademici risulteranno essere quattro, ma va bene così, mi sembra di essere al Didjin’Oz di Forlimpopoli, mi sembra di essere a casa.
Scendo i gradini che conducono alla sala, buia anch’essa e ancora mezza vuota.
Dal soffitto piovono ombrelli rossi, mentre le pareti sono rivestite da A4 assemblati alla meno peggio a formare aforismi di un certo impatto. “Conoscevo una passione. Mi ha dimenticato lungo la strada che porta al dovere. Era un vicolo cieco di rimpianti” è il mio preferito. Click.
Nell’aria non si è ancora librata una sola nota che questo posto mi ha già conquistata.
Mi dirigo al bar allestito in fondo al locale e ordino una birra. Accanto al cartello con i prezzi dei beveraggi spicca la storia e il nuovo “testamento” del teatro e allora capisco che questo vuoto temporale tra il mio ingresso e l’inizio del concerto è l’occasione perfetta per soddisfare la curiosità che covo su questo luogo dalla prima volta che me ne è giunta notizia.
Un teatro occupato. Un teatro dei cittadini.
“É possibile fare due chiacchiere con qualcuno di voi uno di questi giorni?”
Ma che domande. E perché non subito?
Maddalena mi stringe la mano e mi fa segno di seguirla.
Distrutto durante il bombardamento del 1943, il Teatro Coppola fu destinato a laboratorio scenografico del Teatro Massimo Vincenzo Bellini, ma nel giro di alcuni decenni si vide costretto a cedere la nomea gloriosa di primo teatro comunale di Catania per assumere quella meno sfarzosa di luogo lasciato andare alla deriva, uno dei tanti di questo Paese sprecone.
Il resto della storia è un classico all’italiana: progetti su progetti, promesse e dichiarazioni altisonanti, che si gonfiano per raggiungere l’apice in campagna elettorale e si spengono a urne spoglie. Finanziamenti generosi che prendono il volo verso lidi (e tasche) ignoti, o forse troppo noti da dover per forza restare ignoti.
“Nel 2005 si pensò di trasformarlo in sala prove per l’orchestra, vennero stanziati 256.000 euro: che fine hanno fatto? Pensa che adesso c’è chi sostiene che quei soldi sono una ‘leggenda metropolitana’.”
Ecco allora che in una Sicilia devastata dalla disoccupazione e da un’illegalità con radici secolari, l’impegno civile si fa strada e alza la voce.
Il 16 dicembre del 2011 un gruppo di artisti e cittadini comuni taglia i lucchetti e prende possesso del teatro. Un’occupazione in piena regola, ma profondamente diversa da quelle dove i bivacchi e i trastulli psicotropi hanno talvolta il sopravvento sul fine primario: ridare ai cittadini ciò che lo Stato toglie loro per farne cenere.
“Ecco perché non ci toccano, perché si trovano di fronte a qualcosa di completamente diverso. Qui vengono bambini, famiglie, settantenni innamorati della musica classica. Non gira droga, solo arte e cultura.”
Prendo appunti sincopati, le parole che mi arrivano corrono più veloci della penna.
“Per quale giornale scrivi?” domanda a tradimento una ragazza in piedi alla mia destra.
Oddio, che abbia esagerato a presentarmi?
“No no”, mi affretto a dire, “nessun giornale, non sono una giornalista, mi spiace ma con me non diventerete famosi”, e per non lasciare adito a dubbi mostro il taccuno che mi hanno allungato loro stessi qualche minuto prima, perché la “giornalista” qui presente se l’è naturalmente scordato sul comodino.
“Non importa, non ci interessa diventarlo.”
Meno male.
Sediamo nel “giardino” retrostante il teatro, a me e a Maddalena si sono aggiunti nel frattempo altri volontari, tra i tanti che da quasi quattro anni mandano avanti il locale. Qualcuno è qui dagli inizi, altri sono appena arrivati. Gente che va, gente che viene, un mosaico di età, professioni e natali tenuto insieme da quel grande collante che è l’entusiasmo e l’amore per la propria città.
“Per vie legali non ce l’avremmo mai fatta, la burocrazia, i costi… avrebbero spezzato sul nascere il progetto.”
Perché il problema di questa terra è che la cultura è spesso una chiacchiera da campagna elettorale, il baluardo alzato all’occorrenza dal doppio petto di turno. E quando l’amministrazione non risponde il cittadino ha solo due possibilità: o stare zitto e lamentarsi, oppure farsi avanti e darsi una mossa.
Si sono fatti avanti.
Al Teatro Coppola si organizzano laboratori teatrali, attività per bambini, concerti, lezioni e conferenze. Dentro a queste mura si imparano cose nuove, qualcuno trova la propria vocazione artistica, qualcun altro impara un mestiere che poi trasporta nella vita “reale”.
C’è anche una biblioteca piuttosto fornita che vanta, tra gli altri, alcuni pezzi unici. É nata dalle donazioni generose dei cittadini, come tutto ciò che ha permesso la riapertura del teatro.
Le persone donano, se sanno che qualcuno ne farà tesoro.
Mentre continuo a sorseggiare la mia birra raggiungiamo il punto più interessante di tutta la conversazione.
Non è stato il bisogno di uno spazio dove creare e diffondere arte la vera molla dell’occupazione, ma una precisa protesta non violenta contro le amministrazioni che predicano cultura e razzolano incuria. Il Teatro dei cittadini non riceve finanziamenti, se non quelli volontari che passano attraverso le libere donazioni, non si avvale di appoggi politici, non ha primedonne che tirano le redini. Uno vale uno. Ma davvero, non come alcune sedicenti democrazie liquide.
“Ci hanno contattato in diversi, ma qui dentro non vedrai mai una bandiera, chi entra al Teatro entra e agisce da privato cittadino.”
Chiunque abbia un progetto lo propone all’assemblea settimanale, tutti possono partecipare e dire la loro, chiunque è ascoltato e qualunque progetto preso in considerazione. Gli unici veti riguardano le proposte che violano le norme più basilari del rispetto reciproco: atteggiamenti razzisti, sessisti, fascisti, omofobi e partitici sono rigorosamente banditi, che tanto, quelli, di canali di espressione ne hanno già anche troppi.
Scoccati i quattro quarti d’ora accademici si rientra in sala: il concerto sta per iniziare.
Scovo una sedia libera in un angolino, posizione strategica qualora si rendesse necessaria una fuga a metà spettacolo.
Sul palco, che negli anni ha visto passare tra gli altri Afterhours, The Niro, Basile e Frankie HI-NRG MC, La Rappresentante di Lista allinea gli strumenti-giocattolo strappati a un giardino d’infanzia. Veronica accorda la voce, Dario il guitalele e la chitarra.
Poi, senza calo di luci, perché luci non ce ne sono mai state, si aprono le danze.
“La mia pelle è un organo sottile che ti scioglie, che ti digerisce, mentre fuori le nuove luci del giorno mi spengono, mi spengono, mi spengono.”
Buonanotte, Teatro dei cittadini.
Buonanotte, affascinante e coraggiosa Catania.